Vincenzo Maria MATTANO’ (2019)

I CERCHI TRINITARI è un’Opera Ambientale concepita dal Prof. Arch. Vincenzo Maria MATTANO’ -teorico dell’Architettura- e ispirata al pensiero di Gioacchino DA FIORE e alla sua concezione della Storia, del Tempo e dello Spirito che seppe così profondamente condizionare l’architettura cistercense e gotica per quanto riguarda il segno ma, soprattutto, l’intero impianto filosofico e filologico dell’Occidente. L’Opera ricalca, infatti, in maniera concettuale, i tre Cerchi Trinitari così come ci pervengono dal Liber Figurarum (Codice Reggiano) di Gioacchino DA FIORE e così da amplificarne la forza, in termini simbolici e semantici. Essi restituiscono, in termini spaziali, una forma di per sé impossibile, in violazione della geometria euclidea e della logica: se son cerchi non s’incrociano; se s’incrociano, non son cerchi… avrebbe sentenziato, tosto, Aristotele, nel suo principio di non-contraddizione. L’Opera ci rivela, inoltre, un’immagine, latente nella memoria di ognuno, palese a pochi: è il fotogramma con cui Dante chiude la Divina Commedia, nell’istante preciso in cui dalla figura centrale a forma di pesce (l’ictius non sembra sottolineato a caso…) distingue la figura del Cristo. Si riportano volutamente, accanto all’Opera, tali versi imperituri.

Come accadeva nell’architettura classica e in quella greca, capace di manifestare e quindi consegnare nelle mani di chiunque i presupposti teoretici in quanto patrimonio pubblico, in questa opera si distinguono i caratteri salienti della visione gioachimita: come in una icona bizantina, le porzioni dorate sottolineano, per ogni cerchio, ovvero per ogni età della storia, una croce: la suggeriscono nei punti costruttivi critici, in cui la struttura globale è più sollecitata, in cui può avvenire lo smontaggio, il collasso, la distruzione. Ma tali punti in cui costantemente si prova la struttura sono, invero, i più forti (come la stolta Croce è pietra angolare della fede cristiana…) da cui far partire, invece, un processo di de-costruzione, casomai, che condurrebbe, per esempio, a rivalutare in termini recessivi la presenza materiale e del singolo a favore di una società più equa e democratica, si sarebbe pensato un tempo, a favore di un futuro sostenibile e resiliente e, quindi, in termini inclusivi, ecologici (non ego-logici) e globali, è più opportuno proporre oggi.

Solo i codici dell’Arte Contemporanea hanno permesso di realizzare e consentono di fruire la potenza concettuale della visione di Gioacchino, restituita nella sua dynamis quanto nella sua poiesis: lo spazio e l’impianto gioachimita si sovrappongono e confondono al contesto immediato e non mediato dell’Arte Contemporanea sino a creare, in costante dialogo con l’elemento naturale e immanente, un luogo, non-luogo, della Meditazione e per la Meditazione, dell’Evento.

Vi è stata un’Età del Padre, scrive Gioacchino, in accordo con le scritture sacre delle religioni abramitiche, e un’Età del Figlio, in accordo con le scritture evangeliche dense di ecumenismo e apertura all’universalità del Bene in quanto giunte da un Maestro universale: entrambe sono state segnate da un Testamento, per rimanere in tema di scritture. Il Tempo presente è affidato allo Spirito: malgrado la violenza dei venti, non è già possibile distinguerne il soffio? Nell’Arte, magari… nel Testamento non scritto affidato agli artisti e ai poeti...