CASTELLO NORMANNO DI RENDE




Anna, il Caffè e L’Eternità

Anna era nervosa. “Non sono nervosa” si disse, in un esercizio di autoanalisi che voleva essere meditativo e tranquillizzante. “Sono scocciata”, concluse, analisi che si poneva a metà tra un’affermazione e una costatazione. Il Gigante di Pietra, soprannome del Castello Normanno di Rende la osservava. E lei, inespugnabile quanto il Gigante, osservava lui. Anna stava aspettando tre cose. Una risposta, che sarebbe dovuta arrivare portata da un Ermes telematico, in forma e sostanza di mail. Una persona, che l’avrebbe dovuta raggiungere ben 7 minuti prima dell’ultima volta che aveva guardato l’orologio, evento accaduto da cinque minuti buoni. E, cosa più importante di tutti, un caffè, ordinato ormai da un tempo che le appariva tanto impalpabile, quanto inopportuno. Il Gigante continuava a guardarla. “È inutile che mi guardi. Non lo so ancora. Non vedi che sto aspettando una risposta?” pensò la donna, mecenate per natura, progettista di bandi per professione, artista per vocazione. Lo pensò così forte che il Gigante, immobile, si volse dall’altra parte, almeno nell’immaginario di colei che l’osservava, quasi come se gli fosse stato dato dell’inopportuno scocciatore. Ma se tutto questo fu solo pensiero, fu invece parola quella che Anna proferì rivolta ad un baldanzoso cameriere, dal tavolino del bar in cui era seduta da quasi mezz’ora: “Ma per il mio caffè qualcuno è andato in Brasile a raccogliere i chicchi dalla pianta, o c’è possibilità che io lo possa avere prima di dover inoltrare domanda di pensionamento? Possibile che ci voglia un’eternità per avere un caffè?”. Qualcuno corse all’interno del bar, alla ricerca del caffè perduto, con la stessa tensione d’animo con cui Proust cercava il suo tempo, e qualcun altro, invece, alle spalle di Anna, rise. La riccia creatura si voltò con la stessa delicatezza con cui la protagonista dell’Esorcista ruota il proprio capo, per capire chi aveva osato ridere del suo dire, mentre lei, in un esercizio innaturale di pazienza, attendeva la conferma che il progetto fosse passato e l’arrivodella persona, costantemente in ritardo, che avrebbe dovuto curare la comunicazione della mostra d’arte moderna che il Castello Normanno avrebbe ospitato. “Mi fa piacere che la faccio ridere” disse rivolgendosi al vecchietto che sedeva al tavolino dietro di lei, con generosa tenerezza, stupita sinceramente dalla scoperta del proprietario di quella risata. “Oh, no mia cara. Non mi fraintenda. Non rido di lei, ma per ciò che ha detto. Per carità, la battuta sulla piantagione di caffè, seppur sia un classico, è sempre divertente. Ridevo perché un’altra parola da lei proferita mi ha fatto venire in mente cose… ridicole”. “E quale sarebbe questa parola, mi dica?” “Eternità.” Vede l’eternità è un concetto molto strano. Ed io, mio malgrado, ne so qualcosa. La studio da tanto tempo l’eternità. Potremmo dire che studio l’eternità da un’eternità. Da prima che questo castello esistesse. Da prima degli Altavilla, degli Svevi, degli Angioini, degli Aragonesi e dei conti Adorno. Non che ci abbia capito molto con l’eternità, ma lei, mi creda, nell’usare quella parola, dimostra di averne capito anche meno di me”. Anna guardò l’uomo anziano, che non aveva mai staccato lo sguardo dal giornale che stava leggendo mentre si rivolgeva a lei, con un misto di stupore, curiosità, timore. Era uno di quei momenti in cui sentiva il bisogno di vivere in pieno ciò che le capitava. Un incartapecorito anziano voleva parlare della vita, dell’universo e di tutto il resto? E chi era lei per sottrarsi. Anzi, chissà, sarebbe potuto diventare uno di quegli istanti di vita reale che non ti scordi mai. “E cosa non avrei capito, dell’eternità, mi dica…”, apostrofò, simulando teatralmente d’essere affranta, il vegliardo. “Bè, in primo luogo lei pensa che l’eternità possa essere qualcosa in cui succede o non succede qualcosa. Tipo l’arrivo o il mancato arrivo di un caffè. Ma l’eternità è l’insieme di tutte le cose. Di tutti i caffè arrivati e di quelli non arrivati. Di tutti i chicchi di caffè, di tutti i camerieri che li portano, delle tazzine che lo contengono, dei cucchiaini che li girano. L’eternità è tutti i caffè che ha bevuto, che ha desiderato, i luoghi dove li ha desiderati, le persone che le hanno fatto compagnia nel berli, quelli che ha saltato, tutti, tutto, in ogni dove, in ogni quando. Non ci vuole un’eternità per un caffè. Il caffè è parte dell’eternità. Eternità non è un viaggio in avanti nel tempo. Non è partita, è sempre esistita e sempre esisterà. L’eternità è un gigante che sovrasto tutto, un po’ come il palazzo che abbiamo difronte. Non c’è un prima, non c’è un dopo. C’è solo l’eterno. L’eternità è in ogni dove, anche nel caffè che le stanno portando. Anche nella mail che le è appena arrivata sul PC”. Anna si volse verso le schermo del portatile che aveva di fronte. Aveva ragione il vecchio. La mail era arrivata. La lesse velocemente, controllò un dato, e sorrise. Tutto era andato perfettamente. Il suo umore cambiò. Era felice. Ora non restava che spiegare al sapientone che nulla di quello che aveva detto era estraneo al suo pensiero, che condivideva in pieno, e poi passare al prossimo punto in agenda. Se quell’uomo che sosteneva con arroganza quanto la puntualità non rientrasse tra i suoi “difetti” fosse arrivato, avrebbe potuto completare un programma che all’inizio della settimana le pareva infinito… “E dell’infinito invece che mi dice?” provò a chiedere all’uomo che era stato un uomo e non lo era più, affascinata dalla sua disquisizione sull’eternità. Ma l’uomo non era più al tavolino dietro di lei. Era sparito. “Dell’infinito non mi occupo” disse, facendo trasecolare la progettista nell’apparire davanti a lei con una tazzina di caffè, mentre la donna era ancora voltata. “Oddio! Mi ha spaventato” disse portandosi le mani alla bocca. “E perché mai, mia cara? Non avrà paura di povero vecchio che fa discorsi assurdi? Su, beva il suo caffè, che si fredda e poi rischiamo l’entropia. Dell’infinito, le dicevo, non so nulla. Ma sul tempo le posso dire ancora qualcosa. Il tempo non vola. Il tempo striscia, fuori di noi. Esce dai nostri occhi, dal cuore, dall’anima. Ci sfugge tra le mani. C’è chi lo vuole ingannare, chi lo vuole uccidere, chi lo definisce libero, chi crede sia un codardo che fugge e sfugge. Ma in realtà il tempo è tutto in noi e siamo noi che gli diamo una dimensione dell’essere, che lo modelliamo come preferiamo. Anche in un’attesa. Il nostro tempo è la nostra eternità. In fondo ognuno di noi vive per lo stesso identico tempo”. “Ma cosa vuole dire – disse Anna – Non è vero che ognuno di noi vive per lo stesso identico tempo. Io posso vivere fino a 100 anni e un’altra persona morire a 30 o morire in culla. Non abbiamo vissuto lo stesso tempo…” “Allora – la interruppe il vecchio – Non mi ha ascoltato prima. Chi muore a 30 anni o a 100 ha vissuto lo stesso tempo di chiunque altro: una vita intera. La propria vita. Che è la propria eternità. Il nostro Gigante, troppo grande per essere colto appieno, nella sua forma. Le leggo negli occhi che è d’accordo. Bene, c’è ancora speranza. Le faccio dono, dunque, delle dissertazioni filosofiche di un… uomo… che ha avuto troppo tempo per riflettere, da un punto di vista troppo comodo e troppo scomodo al tempo stesso. La saluto. Credo che il tizio sudato che si dirige a passo di marcia verso il suo tavolino sia colui che sta aspettando”. Il vecchio, che dell’Eternità era parte più sostanziale di chiunque altro, posò sulla propria testa un cappello di feltro e si allontanò a passo lento. Anna lo guardò andare via, consapevole che non aveva fatto neppure in tempo ad annuire, che non aveva compreso del tutto ciò che era successo, che non aveva capito esattamente chi fosse colui con cui aveva condiviso l’attesa di un caffè, ma che probabilmente quell’incontro le aveva lasciato qualcosa che non si sarebbe potuta scrollare di dosso a lungo. Modellare la propria eternità… che pensiero fastidioso e affasciante… L’esperto di comunicazione con cui aveva appuntamento arrivò al tavolo pochi istanti e si sedette, sudato, accalorato e con l’affanno. “Perdonami il ritardo Anna. Ci ho messo un’eternità a trovare questo posto” le disse. Anna rise, prima piano, poi forte. Ma il perché di quella risata non avrebbe saputo spiegarlo, neppure a sé stessa.

Andrea Mazzotta
Ottobre 2023